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Mafia: il gioco sporco delle criptovalute
Le criptovalute sono il futuro. Elon Musk, uno dei vip che più si occupa di quest’argomento, le ha definite «promettenti», ma ha anche invitato i cittadini a investire «con cautela». Questo perché c’è un lato positivo come anche uno negativo. Ma se quest’ultimo avesse a che fare con uno dei più grandi nemici dello stato italiano e non solo? Se avesse a che fare con la mafia?

Le criptovalute ormai sono popolari in tutto il mondo. In El Salvador il Bitcoin è letteralmente divenuta una valuta ufficiale al pari del dollaro. I giovani si avvicinano sempre di più a questo mondo e a quello del mining, ma insieme alle giovani menti si addentra anche la mafia, come denuncia la Relazione Semestrale Dia che fa riferimento al secondo semestre del 2020.
A testimonianza che la mafia è in grado di cogliere le varie opportunità offerte dalla globalizzazione, si evidenzia il ricorso a pagamenti con criptovalute quali i bitcoin e più recentemente il monero che non consentono tracciamento e sfuggono al monitoraggio bancario
Relazione Semestrale – DIA
Ma questo cosa significa?
La mafia e le criptovalute
Partiamo dal presupposto che in diverse parti d’Italia è possibile acquistare un Bitcoin con i propri contanti. Prendiamo come esempio la capitale, Roma. Facendo una ricerca sul sito Coin Atm Radar si evince che in città ci sono la bellezza di venti punti in cui è possibile acquistare delle criptovalute. A proposito di ciò, Wired Italia dedicò un’inchiesta a riguardo, denunciando proprio di come venissero utilizzate per riciclare il denaro sporco.

Parlando di denaro sporco, parliamo anche di Mafia. Il comandante dei Ros all’inizio della scorsa estate aveva proprio fatto presente come la mafia adesso utilizzi «cloud e criptovalute». Ma come può se in Italia dal 2019 esiste un decreto legislativo che impone ai bancomat delle criptovalute di iscriversi a un registro creato ad hoc? Semplicemente perché è un decreto tutto fumo e niente arrosto, poiché non è stato mai approvato quello attuativo.
Se volete averne la certezza, basta prendere in considerazione il rapporto dell’Uif, l’Unità di informazione finanziaria, che nel 2018 aveva ricevuto “solo” 500 segnalazioni per delle operazioni sospette, mentre nei 2020 le segnalazioni sono arrivate a 1800, più del triplo.

Questa è solo una grande testimonianza di come i clan «di Napoli e alcuni della zona di Caserta, area sotto il dominio del famigerato clan dei Casalesi» e non solo, parliamo della mafia in genere, siano al passo con i tempi, vivano la nostra stessa società, seguono gli interessi del momento. La mafia, ancora una volta, sfrutta le debolezze dello Stato italiano.